domenica 23 ottobre 2016

I pesci non hanno gambe di Jón Kalman Stefánsson


Vi consiglio un libro:

I PESCI NON HANNO GAMBE di J. K. Stefánsson.

Jón Kalman Stefánsson è uno scrittore islandese nato a Reykjavík nel 1963. Prima di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura, ha insegnato in alcune scuole superiori e ha scritto diversi articoli per un giornale locale. Dopo aver vissuto alcuni anni in Danimarca, ha fatto ritorno in patria lavorando come bibliotecario in una cittadina distante una ventina di chilometri dalla capitale. Ha debuttato nel mondo dell’editoria con tre libri di poesia per poi dedicarsi alla narrativa, dove ha riscosso un grande successo che gli ha permesso la vittoria del Premio Islandese della Letteratura nel 2005 con Luce d’estate ed è subito notte. Oggi, parte delle sue opere sono pubblicate per Iperborea e tradotte da Silvia Cosimini. I pesci non hanno gambe, pubblicato per la prima volta in Italia nel 2015, è il primo romanzo di un dittico che vede al seguito Grande come l’universo, di recente pubblicazione (2016).

Da qui si vede bene il porto, il suo vuoto spalancato e senza speranze, come se fosse caduto di mano a qualche dio che poi l’ha dimenticato. Tre vecchi marinai se ne stanno in piedi all’estremità del pontile, da dove vedono meglio l’oceano, le mani abbandonate lungo i fianchi, vuote, inattive, e guardano l’unico peschereccio che oggi rientra. Vado a prendere il binocolo in macchina, lo porto agli occhi, c’è un accenno di amarezza o di pena nei loro volti – quasi fossero scesi al molo per controllare se gli anni spariti siano stati ripescati nelle reti.”

I pesci non hanno gambe è una storia famigliare che si svolge a cavallo di tre generazioni in due punti opposti dell'Islanda. Keflavík, una cittadina industriale nel sudovest dell'isola, e il Norðfjörður, una piccola località del nord-est. Il narratore ci parla di Ari, che un giorno decide di mandare all’aria il matrimonio e scappare in Danimarca, e dei suoi nonni Margrét e Oddur, che molti anni prima si erano conosciuti sulle rive del Norðfjörður, dove al tempo del racconto si viveva quasi esclusivamente di pesca.
Come sua nonna, che dopo alcuni anni passati lontano dall'isola aveva fatto ritorno e si era innamorata di Oddur, anche Ari, stanco della sua vita in Danimarca e soffocato dai rimorsi, decide di tornare a casa. Si da appuntamento con il narratore in un hotel a Keflavík, dove assieme ad una modesta quantità d’alcol vomita fuori tutti i ricordi e le emozioni che per tanto tempo aveva cercato di soffocare. Queste due storie, che vengono raccontate dal narratore attraverso un'alternanza di presente e passato, orbitano attorno alle stesse emozioni: l'amore per la propria donna e quello contrastante per la propria terra.

La cosa che salta subito all’occhio leggendo le prime pagine del libro è il particolare timbro che caratterizza la scrittura dell'autore. Stefánsson scrive e parla come un poeta, utilizzando frasi ermetiche che rimandano ai periodi descritti e agli ambienti che circondano le due storie. Le sue descrizioni non sono solo dettagliate, ma anche poetiche e musicali, dipinte con i colori dell'Islanda del Nord e quelli cupi e tristi di Keflavík, dove come ci dirà l'autore, esistono tre punti cardinali: il vento, il mare e l’eterno. In una terra che per migliaia di anni è stata dura con i propri abitanti, dove la forza della natura è onnipresente nelle vite di chi la abita, lo scrittore narra del rapporto tra uomo e mare e tra uomo e poesia, un’arte così bella che purtroppo al giorno d'oggi pare quasi scomparsa.
È uno di quei libri che con le sue parole riesce a colmare il vuoto che lui stesso crea. Traspare Keflavík e il Norðfjörður, la pianura, la montagna e il mare, quell’enorme distesa d’acqua che tanto da e tanto toglie. Attraverso le parole di questo strabiliante autore, sembra proprio di essere su un peschereccio nel Norðfjörður con Oddur oppure assieme ad Ari in un albergo nella cadente Keflavík. A mio parere la scrittura dell'autore ha subito forti contaminazioni dovute ai primi scritti poetici, tanto da rendere un romanzo di trecentosettanta pagine, una lunga e unica poesia.
I pesci non hanno gambe è stato il primo romanzo che ho letto di questo scrittore islandese, e anche se inizialmente non è stato facile abituarmi al suo particolare stile narrativo, trovo che sia l'unico adatto per raccontare questa storia; se il suo obbiettivo era rappresentare la sua terra e le sue persone, lo ha raggiunto.
È una lettura importante, non propriamente leggera, ma che sicuramente arricchirà l'anima di chi la legge.

Parola di Lettore.

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