domenica 4 settembre 2016

Mi chiamo Lucy Barton di Elisabeth Strout.


Vi consiglio un libro:

MI CHIAMO LUCY BARTON di Elisabeth Strout.

Elisabeth Strout è una scrittrice americana nata a Portland il 6 Gennaio 1956, ed è grazie alla vincita del premio Pulitzer nel 2009 con il suo romanzo Olive Kitteridge che ha potuto allargare la sua cerchia di fedeli lettori.
Mi chiamo Lucy Barton” è un libro edito da Einaudi con la traduzione di Susanna Basso. Sesto libro della scrittrice, è uscito nelle librerie italiane il 3 maggio 2016, riscuotendo un enorme successo e confermando il talento che questa autrice aveva già dimostrato con i lavori precedenti.

"Ci fu un tempo, ormai molti anni fa, in cui dovetti trascorrere quasi nove settimane in ospedale. Succedeva a New York e la notte, dal mio letto, vedevo davanti a me il grattacielo Chrysler con la sua scintillante geometria di luci. Il giorno spegneva la bellezza dell'edificio che, a poco a poco, ridiventava solo l'ennesima immane architettura stagliata contro il cielo azzurro e, come le altre, remota, silenziosa, altera."

Costretta a rimanere in ospedale dopo le complicazioni dovute ad un intervento, Lucy si sofferma ad osservare il paesaggio al di fuori della finestra della sua stanza. Proprio davanti a lei si trova il grattacielo Chrysler, un enorme e illuminatissimo palazzo che non appena sorge il sole, perde il suo scintillio per ritornare a fare parte delle tante figure anonime dello skyline di New York.
Con questa introduzione, Elisabeth Strout incomincia a raccontarci di Lucy, e dell'incontro con la madre.

Non accadeva da anni, e Lucy non pensava che fosse più possibile.
Sua madre aveva paura di volare, eppure in quel preciso momento si trovava in piedi davanti a lei. La vede all'improvviso, vicino alla porta. Un attimo dopo se la ritrova accanto, e nonostante i tanti anni di lontananza e le tante cose che le erano successe, le poche parole che le vengono in mente le muoiono in bocca. La protagonista si accorgerà di non sentirsi più legata emotivamente a lei, e quando sua madre le si avvicinerà e la saluterà, lei si limiterà a contraccambiare.
La madre rappresenta l'unico collegamento alla famiglia e al suo triste passato, ed è proprio per questo che Lucy si sente giudicata in ogni sua azione.
Rimarrà accanto a lei cinque giorni e cinque notti, senza mai dormire. Le poche parole che si scambieranno all'inizio, con la vicinanza e la solitudine alla quale le due sono costrette, si trasformeranno in breve tempo in una cascata di ricordi e emozioni diluiti con silenzi e pause di riflessione.
Durante la narrazione, la protagonista si ritroverà a riflettere su come il rapporto con la sua famiglia e il passato, si sia riversato nella sua vita nella grande mela, dove ora è una scrittrice che gode di un discreto successo.
Rimarrà sconcertata nel ricordare avvenimenti che erano scomparsi dalla sua mente, e a riguardo dei quali la madre non fa cenno: dal metodo particolare con cui i suoi genitori la punivano, fino al rapporto con un'altra scrittrice di New York, composto da dialoghi brevi e diluiti nel tempo.

Questo romanzo è uno dei rari casi in cui l'autrice parla di una vicenda a sfondo famigliare in così poche parole; in non più di centosessanta pagine, riuscirà a trattare in maniera più che esaustiva alcuni argomenti universalmente noti come il rapporto tra madre e figlia, l'insicurezza, e il dolore. E sarà proprio il dolore, tra tutti, la costante di questo libro.
Quanto appena scritto, è solo una misera parte di quello che troverete leggendo questo romanzo. Nella brevità dei suoi capitoli, Elisabeth Strout riesce ad affascinarci come solo una scrittrice talentuosa e competente è in grado di fare.

Libro consigliatissimo,

Parola di lettore.
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